La pace nel Taoismo

Festival Internazionale per la Pace | Assisi, 9 settembre 1999

L’universo taoista è multiforme e variegato come quello buddhista, molte scuole e diverse interpretazioni con pochi minimi comun denominatori. Fra il taoismo contemplativo di Laozi e Zhuangzi, quello ascetico degli anacoreti, quello autoritario della Huanglao, quello edonista-individualista di Yangchu o la chiesa taoista di Zhang Daolin esistono forti punti di contrasto, ancora più eterogenei sono gli oltre 8000 testi raccolti nel cosiddetto “Canone Taoista”. In breve si può dire che taoista è tutto ciò che nella cultura cinese non appartiene espressamente ad un’altra scuola. Sebbene fra gli antichi testi taoisti figuri anche un Classico della Grande Pace (Taiping Jing), utilizzato soprattutto dalla scuola dei “maestri celesti”, il concetto di pace non è trattato in maniera esplicita nei testi fondamentali, esso appare tuttavia in filigrana proprio in quei concetti che costituiscono l’ossatura comune delle tante scuole taoiste: Dao, De, Ziran, Wu Wei.

Sintetizzando al massimo potremmo dire che le tre caratteristiche principali del concetto taoista di pace sono: armonia dinamica, spontaneità ed aderenza alla “gerarchia divina”.

ARMONIA DINAMICA – Riguarda l’interazione armonica fra opposti, che i cinesi chiamano Yin e Yang. “Uno Yin uno Yang ecco ciò che si dice Dao” è scritto nel Daodejing. De -virtù – è la perfetta aderenza individuale a questa realtà universale. La “grande pace” deve necessariamente comprendere pace e non-pace, non c’è assoluto senza entrambe le facce della medaglia.

Ciò implica un coinvolgimento di entrambi gli opposti; in Cinese lo stesso carattere che si usa per “armonia” significa anche “unire” “fondere insieme”: l’elemento oscuro viene penetrato dal chiaro e se ne fa carburante; maggiore la velocità, maggiore l’equilibrio (come per una sfera fatta ruotare su un dito); tutto ciò che raggiunge la velocità della luce è luce.

Non si tratta di ottenere una condizione immutabile di irreversibile assenza di elementi di disturbo, ma di velocizzare il processo di pacificazione e sublimazione del turbamento, sino a renderlo istantaneo.

Postulando che il corpo –l’energia della libido, della nigredo – rappresenti il nostro aspetto più oscuro, e lo Spirito la luce immateriale del nostro essere, nel taoismo non si intende mortificare il corpo per esaltare lo spirito, ma sacralizzare il corpo –attivandone tutte le risorse latenti – affinché corpo e spirito possano diventare una cosa sola.

SPONTANEITÀ – Per quanto riguarda il metodo, come dice Laozi, la norma del Dao è la spontaneità (naturalezza) Ziran. Quindi non ci si deve sforzare per ottenere uno scopo, semmai lavorare per rimuovere tutti gli ostacoli – chiamiamoli cattive abitudini fisiche e mentali- che si frappongono alla naturale espressione del Sé. Ciò comporta, in altre parole, abbandonare l’azione egoica affinché il proprio agire sia perfettamente armonico con una dinamica superiore.

È ciò che i taoisti chiamano Wu Wei: imitare la spontaneità e la creatività della natura, la generosità e tolleranza della terra, la regolarità e lungimiranza del cielo.

Il mondo naturale è rivelazione divina, non accidente. Dall’alto delle montagne è più facilmente raggiungibile un accesso alla sapienza ben diverso da quello che può offrire la cultura urbana. Il carattere cinese per ‘anacoreta’ è composto dai due simboli dell’uomo e della montagna.

Gli scempi ambientali della nostra epoca non pregiudicano solo la nostra salute e sopravvivenza fisica ma anche la pace che deriva dalla contemplazione estatica della natura.

GERARCHIA DIVINA – Il Classico dei Mutamenti offre un’importante lezione sulla pace: come tutti sanno, l’Yijing si basa su sessantaquattro esagrammi formati dall’unione a coppie di otto trigrammi fondamentali. I due esagrammi formati dall’unione di cielo e terra – la massima espressione archetipica degli opposti – sono il n.11 detto “La Pace” e il n. 12: “Il Ristagno”. Nel ristagno il cielo è sopra e la terra sotto, nella pace l’ordine è inverso rispetto a quello consueto: il cielo sotto la terra.

Innumerevoli sono le chiavi di lettura di questa espressione simbolica, ne accenno solo due: l’una in ambito individuale, l’altra in ambito sociale. Anche l’ideogramma di Ping (pace) concerne entrambi: lo troviamo nell’espressione Pingan “serenità”, e gongping “equità”.

La serenità che deriva dal retto agire è il presupposto per la quiete della mente. Solo quando il cielo è sereno la sua luce penetra la terra; tecnicamente, se è in pace lo spirito –il nostro ‘cielo’- può scendere e penetrare nell’addome – la ‘terra’ del nostro corpo.

Bisogna considerare che il cielo è infinitamente più grande e potente della terra, ma, come nell’esagramma Tai, si pone sotto di essa. Il forte deve essere al servizio del debole: questa è la differenza fra la gerarchia umana – dove il forte mette il debole al proprio servizio – e quella divina, fatta propria anche dagli ordini cavallereschi e monastici. La grandezza soggetta ad umiltà porta il cielo in terra. E’ la lezione del lavàcro dei piedi, il solo modo di pervenire alla limpida serenità dello spirito ed assicurare nel contempo equità e pace sociale.

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